Sento l’obbligo di replicare a quanto pubblicato polemicamente
da Maria Concetta Nicolai in merito al premio letterario “Città di Roccamorice 2014” che nella serata del 2
agosto l’ha vista partecipare come finalista nella sezione “Saggistica di
autore abruzzese”.
In un’accorata “dichiarazione ufficiale” su di un noto
social network, nello spiegare le personali motivazioni per le quali non
avrebbe partecipato alla serata di premiazione che si è tenuta il giorno
successivo (e nella quale si sarebbe, peraltro, vista conferire il primo premio),
la studiosa ha esplicitamente contestato la “legittimità culturale” degli altri
due autori finalisti, sostenendo che «i
saggi di antropologia culturale li scrivono gli antropologi culturali e lì di
studiosi che appartenessero a quella formazione disciplinare ce ne era uno solo».
Lei, ovviamente.
E se è cattiva la chiosa della signora Nicolai («quia tota
palea sunt»), al sottoscritto verrebbe di replicare ricordandole, con i Latini,
che Longo in itinere, etiam palea oneri
est.
Cercando tuttavia di evitare di sostare sul terreno
spiacevole degli ipse dixit, ma
intervenendo esclusivamente in quanto membro della giuria, intendo fare preliminarmente
alcune precisazioni sugli aspetti “tecnici” del premio in questione:
1.
Stando
al bando del concorso, la sezione nella quale la signora Nicolai ha partecipato
non era riservata ad opere di “antropologia culturale” in senso stretto, ma più
ampiamente a testi di saggistica (art. 3);
2.
Lo
stesso bando non prevedeva un’ammissione per “titoli”, ma richiedeva soltanto
che il testo fosse stato pubblicato in un periodo compreso dal 1° gennaio 2013 al
31 maggio 2014 (art. 2) da un editore iscritto all’Associazione Editori Abruzzesi
(art. 3);
3.
La
“formula” del concorso prevedeva un confronto, nella prima serata, tra autori e
giuria (art. 8);
4.
La
partecipazione al premio da parte di editori ed autori implicava l’accettazione
delle norme del bando (art. 13).
Sulla base di quanto precisato, vorrei ora osservare che la
terna di opere finaliste nella sezione saggistica è stata selezionata tra ben 11
testi presentati, di argomenti molto diversi tra loro, e i cui autori – in alcuni
casi – erano esperti e “titolati” nel proprio settore: ciò nondimeno, la giuria
non ha tenuto in minimo conto tali “referenze culturali”, ma ha proceduto al
giudizio delle opere basandosi esclusivamente sul valore dei contenuti. In tal
senso le altre due opere finaliste – delle quali peraltro la signora Nicolai
non contesta il contenuto ma soltanto la “colpa” di non essere state scritte da
“antropologi” – sono apparse a questa giuria meritevoli di selezione.
Per quanto il giudizio della giuria sia insindacabile, e
pertanto non sia dovuta nessuna giustificazione da parte mia o degli altri
membri giurati sul merito delle proprie deliberazioni, sento il dovere
“culturale” di esternare – a titolo del tutto personale, e sollevando gli altri
giurati da ogni coinvolgimento - i miei convincimenti in merito ai contenuti
delle opere a mio avviso ingiustamente “vituperate”, e questo mi sia concesso proprio
per restare nell’originalità della formula del premio, che ha voluto costituire
– e fino nella sua struttura regolamentare - un momento di incontro, confronto,
dibattito.
Il libro di Antonio Bini, Li chiamavano Pifferari (e devo annotarlo, pubblicato dalla stessa
casa editrice con la quale la Nicolai ha una lunga e “militante”
collaborazione) documenta la fortuna della figura dello zampognaro abruzzese presso
la cultura dei viaggiatori stranieri che furono, specie nell’Ottocento, molto
attenti alle varie forme espressive dell’Abruzzo; l’opera si avvale di una
raccolta amplissima – in gran parte inedita - di documenti iconografici
(incisioni, disegni, fotografie d’epoca, frontespizi di spartiti e riviste), cui
si aggiunge un’altrettanto estesa “Appendice musicale” di partiture e
trascrizioni. Non è – né voleva minimamente esserlo – un’opera di antropologia
culturale, ma rappresenta a mio avviso un documento validissimo per la ricerca
di fonti iconografiche e musicologiche sulla figura oggi quasi scomparsa dello
“zampognaro” (e chi vorrà, anche in senso “antropologico”, affrontare
l’argomento, credo che non potrà prescindere da questo libro).
L’altro testo finalista, tanto esplicitamente avversato ma,
si ripete, nella sleale demonizzazione degli autori, è Ju calenne. L’albero de Maggio a Tornimparte. Scritto da un ex
pastore e da un ingegnere elettronico (Vincenzo Gianforte e Giacomo Carnicelli),
quindi da non studiosi in senso stretto di tradizioni popolari ma da
“tornimpartesi” che conoscono “da vicino” l’argomento per “viverlo”, è da
considerarsi un “libro-documento”, nel quale gli autori raccontano
minuziosamente tutte le fasi di questa antica tradizione abruzzese, affidando
alle molte fotografie prese “sul campo” un fondamentale ruolo documentario.
Anche qui: si può davvero pensare che questo testo sarà così inutile agli
“antropologi”, o non è invece prevedibile che – partendo proprio delle
testimonianze e dei documenti qui raccolti – essi potranno meglio sviluppare le
proprie ricerche? Era tanto temerario dar conto di una tradizione così
originale? Dovevamo rischiare di perderla, come tante cose del passato che
affondano le proprie origini nell’humus più autentica del nostro territorio? E chi
doveva ergersi a solone, per denigrare questa ricerca “sul campo”, sulle “cose
vive”? Proprio un’antropologa culturale?!
Trovo pertanto infondata ed artificiosa la polemica della
signora Nicolai, alla quale peraltro mi legano importanti esperienze di collaborazione
di studio ed editoriali (ognuno nel suo campo), oltre che sentimenti di stima
sincera, e perché le polemiche non restino sterili ma siano sempre costruttive
vorrei lanciare una proposta. Nello spirito di questo premio (e mi dispiace che
da persona intellettualmente sensibile ella non l’abbia colto), alla
premiazione seguiranno – sempre a Roccamorice - alcune “serate letterarie” in
cui gli autori saranno chiamati ad approfondire i temi emersi dal concorso
stesso: ecco, concedendomi l’Associazione Editori Abruzzesi grande libertà in
tal senso, vorrei invitare ad una di queste serate la signora Nicolai, a
discutere con altri sullo stato degli studi sulle tradizioni abruzzesi, tra
letteratura scientifica, cultura erudita e fonti documentarie.
Ovviamente, insieme agli autori “asciati” dell’albero di
Tornimparte.
Enrico Santangelo
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